Consigli di lettura, n° 5: leggete una poesia

Oggi piove, quella pioggia primaverile convinta, che ha già in sè il germe dei temporali estivi. Quella pioggia che cade dritta e ostinata e rumorosa sull’asfalto, che riempie l’aria dell’odore di bagnato, adesso che il freddo non è più così freddo da gelare gli odori.

Oggi sono a casa. Oggi raccolgo tutti i pezzi di me che ho perso in giro e mi nascondo sotto una coperta leggera, seduta sulla vecchia sedia a dondolo della mia bisnonna, la sedia che mi ha seguita da via Benna a viale Italia a via Varazze e invece a Trento mi ha fatta andare da sola.

Oggi ricordo i lunghi pomeriggi primaverili di pioggia nella vecchia casa dei miei nonni, una casa immensa, piena di pomeriggi senza tv che la tv si accendeva solo quando la giornata era finita ed era ora di Ok il prezzo è giusto; pomeriggi passati a cercare di decifrare i libri incomprensibili di mio zio e i vecchi libri di scuola di mia mamma, foderati con carta a fiorellini e riempiti di appunti ordinati presi a matita. Leggevo le Fiabe Italiane raccolte da Calvino, così diverse dalle mie versioni disneyane. Leggevo i Racconti Perduti e i Racconti Ritrovati di Tolkien, che io Tolkien l’ho scoperto così, basta un pomeriggio di pioggia una volta ogni tanto e sei fregato per il resto della vita. Leggevo Momo nascondendolo dentro al quaderno dei compiti, per ingannare mio nonno che buttava l’occhio a controllare che fossi diligente. Leggevo i Gaia Junior che non avrei dovuto portare a scuola, per non distrarmi durante le lezioni (ma quando mai? al corso di diritto del lavoro io leggevo il Conte di Montecristo), ma io li portavo lo stesso e mi ripromettevo che li avrei letti solo nell’intervallo. I pomeriggi che proprio non avevo niente da leggere, leggevo i miei libri di scuola, specialmente il libro di “antologia”, quello con i brani di libri famosi e le poesie da imparare a memoria. Io che di poesia ne ho sempre letta pochissima, perchè mi metteva una strana soggezione addosso, le leggevo tutte le poesie del mio libro di antologia. Leggevo Pascoli e nella testa mi risuonava la erre scivolosa della mia maestra. Leggevo Leopardi e non capivo niente, e l’ho capito solo anni dopo, con la voce tuonante del prof di italiano del liceo e il suo sguardo che si velava, ogni tanto, quando ci parlava di Leopardi. Forse s’avessi io l’ale da volar in su le nubi, e noverar le stelle ad una ad una

Leggevo poesie piccole che mi sono portata nel cuore talmente tanti anni da sentirmele quasi tatuate sulla pelle: Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti. Arrivederci, fratello mare…

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Imparavo a memoria le poesie che altri, meno genati di me, recitavano al corso di teatro mentre io suonavo il pianoforte con le dita che mi tremavano: Les enfants qui s’aiment s’embrassent debout contre les portes de la nuit…

Poi io sono cresciuta e i miei nonni hanno venduto la casa e io ho imparato altre lingue, ma i giorni di pioggia mi facevano venire questa voglia di sfogliare i libri di scuola e farmi rotolare addosso quel miscuglio di parole, di stili, di temi, di voci. Così leggevo Shelley, e Byron, scontrandomi con l’inglese che ancora non mi era del tutto familiare; Christina Rossetti mi cantava When I am dead, my dearest, sing no sad songs for me…; mi commuovevo con i War Poets: If I should die, think only this of me – that there’s some corner of a foreign field that is forever England

Sentivo il vento tra i capelli come se avessi la testa fuori dal finestrino sul primo treno ad attraversare l’America da costa a costa, la voce limpida di Walt Whitman accanto a me: Henceforth I ask not good-fortune, I myself am good-fortune…  E la pioggia mi riportava in Irlanda a farmi sussurrare all’orecchio Laugh, heart, again in the grey twilight; Sigh, heart, again in the dew of the morn.

Allora oggi che piove mi siedo sulla sedia a dondolo, racchiusa nella mia coperta, e guardo la pioggia cadere in strada come se fossero le strade di Parigi:

Finchè ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finchè ancora tempo, mio amore
finchè il mio cuore è sul suo ramo
vorrei una notte di maggio
una di queste notti
sul lungosenna Voltaire
baciarti sulla bocca…

Oggi che piove mi lascio bruciare la pelle dalle parole di Neruda:

Llénate de mí.
Ansíame, agótame, viérteme, sacrifícame.
Pídeme. Recógeme, contiéneme, ocúltame.
Quiero ser de alguien, quiero ser tuyo, es tu hora…

Oggi che piove mi sento riassunta nelle parole di Pavese, tradotte in inglese da Fenoglio (che qui dentro c’è tutto, la strada di casa e la lingua straniera che mi porta lontano):

Death will come and have your eyes –
this death stepping with us
from morn to eve, sleepless,
sullen, like an old remorse
or a vice preposterous. Your eyes
will be a vain word, a cry uncried, a silence.

Oggi che piove, forse, non vale la pena di iniziare un romanzo solo per farlo lavare via dalla pioggia.

Oggi che piove, leggete una poesia.


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